Ho rovesciato una grossa macchia di china nera in una piccola ciotola, proprio come si fa con la salsa di soia nella preparazione del sushi, ma con fare quasi più solenne. Ho lasciato che quel vecchio pennino col manico di vetro azzurro si impregnasse a dovere, l’ho scaldato con qualche segno morbido. Piccoli arabeschi dai bordi leggermente sbavati. Non so ancora quanto ordine potrò ricavare da quel minuscolo lago di caos nero.
Quando si scrive a china la differenza la fa il foglio di carta. A me piace usare fogli di grana piuttosto grossa, un po’ porosi. Mi piacciono come i giorni imperfetti. Sono impegnativi, assetati, ribelli; trasformano il tratto cosicché, dopo qualche istante, i segni si confondono e creano nuove forme. Bisogna essere leggeri ma decisi, il tempismo è tutto e la velocità fondamentale per non lasciarsi catturare e disperdere dalla grana. Quei fogli fanno un rumore particolare quando li tracci, come di un aratro che solca la terra, come di un fuoco che crepita, come se si impregnassero di vita.
Intingo e metto ordine.
Continuerò ad intingere da questa vita informe per darle ordine e senso e segni in cui riconoscersi.
La magia sta nell’esaurire la riserva di china nera proprio con un punto.
Così, per non lasciare la vita con un pensiero sospeso.
“Noi siamo i soliti, quelli così…” Vasco Rossi, I Soliti, 2011